Secondo il servizio degli Stati Uniti Marshals, uno dei primi usi dell'impronta digitale ai fini dell'identificazione risale all'antica Babilonia, circa 4.300 anni fa, quando i commercianti utilizzavano impronte digitali su tavolette di argilla per finalizzare le transazioni commerciali. Il primo utilizzo delle impronte digitali per scopi forensi nelle indagini di polizia risale al 1892, quando Juan Vucetich, un funzionario di polizia argentino, usò le impronte digitali per identificare un criminale per la prima volta.
Le culture antiche in Cina, Persia, Grecia, Egitto e Roma usavano le impronte digitali per stabilire l'identità per molti scopi, compresi i segni dei fabbricanti sulla ceramica, come decorazioni, per firmare contratti commerciali e per fare prestiti tra individui specifici. Non hanno usato le impronte digitali per identificare un individuo sconosciuto nella popolazione generale. Le registrazioni legali mostrano che durante la dinastia Qin, che durò dal 221 al 206 a.C., i cinesi raccolsero impronte di mani, impronte e impronte digitali come prove su una scena del crimine. Nei successivi secoli, scienziati e altri ricercatori hanno studiato le impronte digitali allo scopo di sviluppare una tassonomia di tipi e modelli. I dati sono stati utili in molte discipline e hanno dimostrato agli investigatori che le impronte digitali erano uniche e potevano essere utilizzate per stabilire l'identità con certezza. A Sir Francis Galton sono state attribuite le caratteristiche identificative delle impronte digitali che sono ancora utilizzate dagli investigatori criminali a partire dal 2014. L'uso legale delle impronte digitali si è diffuso rapidamente durante il XX secolo e nel 1971 l'FBI aveva in archivio 200 milioni di impronte digitali. Questi sono diventati il database per il sistema automatizzato di identificazione delle impronte digitali.