La teoria della devianza culturale afferma che la disorganizzazione sociale e la delinquenza sono collegate, risultando nella criminalità una normale risposta alle caratteristiche sociali, strutturali e culturali di una comunità. Questa teoria utilizza la mappatura culturale per spiegare che le persone non sono intrinsecamente devianti, ma sono influenzate dalle circostanze.
I sociologi Clifford R. Shaw e Henry D. McKay scrissero per la prima volta la teoria della devianza culturale studiando la città interna di Chicago tra il 1900 e il 1933. Shaw e McKay scoprirono che i tassi di criminalità rimanevano gli stessi in specifici quartieri, anche quando la popolazione etnica cambiava.
La teoria della devianza culturale segue un modello di zona concentrica, in cui il crimine è più prolifico al centro e diminuisce con l'aumentare della popolazione. Le zone, elencate dal centro al cerchio esterno, sono il quartiere degli affari, la zona di transizione, la zona della classe operaia, la zona residenziale e la zona dei pendolari. La teoria della devianza culturale ha influenzato la futura analisi sociologica e criminologica della delinquenza e del crimine. Nel 1989, i ricercatori Robert Sampson e Byron Groves analizzarono 238 quartieri britannici. Scoprirono che la povertà, la diversità etnica e l'interruzione della famiglia in certe località influenzarono la disorganizzazione sociale, correlando la teoria della devianza culturale. Nel 2006, Sampson e la nuova arrivata Lydia Bean hanno trovato povertà e case monoparentali correlate alla violenza giovanile.