Il capitalismo manageriale postula che gli amministratori delegati dominanti non gestiscano più le imprese ma assumono invece dipendenti che gestiscono le imprese come una nuova classe di amministratori delegati professionisti. Adolf A. Berle e Gardiner C. Means per prima cosa fanno questa proposta nel loro trattato del 1932 "The Modern Corporation and Private Property" in cui sostengono l'idea che i proprietari trasformino le aziende in manager professionisti.
Nella sua analisi dell'articolo di Stephen Pearlstein sul capitalismo americano, Steve Denning di Forbes definisce l'era dopo la seconda guerra mondiale l'età d'oro del capitalismo manageriale in cui dirigenti addestrati gestivano grandi compagnie internazionali e nazionali che a loro volta guidavano l'innovazione e la crescita. Durante questa era, il potere della grande impresa fu frenato dalla combinazione del governo federale e dei sindacati. Di conseguenza, gli affari erano più "gentiluomini" e il ciclo economico domava.
Richard Martin spiega nella Harvard Business Review che uno spostamento di pensiero dall'idea di capitalismo manageriale di Berle e Means avvenne nel 1976 quando Michael C. Jensen e William H. Meckling pubblicarono "Teoria dello studio: comportamento manageriale, agenzia Costi e struttura della proprietà "nel Journal of Financial Economics. In questo articolo, Jensen e Meckling hanno dichiarato che il nuovo mantra aziendale è quello di "massimizzare il valore per gli azionisti".