Il famoso filosofo ateniese Socrate fu accusato di due reati specifici: empietà e corruzione della gioventù. Queste accuse derivavano dalle controverse decisioni prese da Socrates come membro del Boule, decisioni che alla fine sconvolgevano figure influenti e probabilmente indignati anche del sentimento pubblico.
Prima del suo processo, Socrate era un membro del Boule, un consiglio che scelse gli oggetti dell'ordine del giorno per il corpo rappresentativo più grande, l'Ekklesia. In un'occasione, c'è stato un ampio sostegno per la condanna e l'esecuzione di diversi generali, un consenso sul fatto che Socrates si sentiva in dovere di opporsi. Come parte della sua difesa per le sue azioni, Socrate descriveva dei che erano onniscienti e onnipervadenti, una diversa interpretazione degli dei rispetto a quella tenuta da molti greci, il quale affermava che gli dei erano solo parzialmente consapevoli degli eventi e non offrivano alcun preciso imperativo morale. Socrate in seguito suscitò la rabbia quando contestò l'elezione di funzionari solo per scrutinio piuttosto che per merito. Ciò lo mise in contrasto con il governo direttamente democratico di Athen durante quel periodo.
Piuttosto che difendersi durante il suo processo, Socrate appare nei resoconti contemporanei di Platone e Senofonte come uno che non solo era rassegnato al suo destino ma che era incline ad inimicarsi l'accusa e gli osservatori nella galleria. Alla fine, Socrate accettò la pena capitale e prese il veleno di cicuta che gli era stato dato in punizione, anche se molti ateniesi si aspettavano che lui corresse per salvarsi la vita e che non avrebbe impedito la sua fuga. L'accettazione di Socrate della sua punizione è stata la dimostrazione finale della sua sottomissione alla legge e del giuramento che ha preso per proteggerla.